Non c’è angolo a Roma che non sia allietato dal suono zampillante di una fontana, per piccola che sia.
Dai simpatici “nasoni” – le caratteristiche fontanelle in ghisa – alle più recenti “case dell’acqua” – erogatori di acqua potabile liscia e frizzante – solo nel centro storico si contano una novantina fra fontane e fontanelle artistico monumentali dalle quali sgorga sempre acqua pubblica.
Tra le fontane meno conosciute ma, per questo, non meno belle: delicata, perplessa ed un po’ malinconica è la Fontana delle Tartarughe nel rione Sant’Angelo in piazza Mattei.
Un’opera davvero gradevole
Seminascosta dagli imponenti palazzi cinquecenteschi alle spalle del Ghetto e poco visitata dai turisti, questo piccolo capolavoro ha una storia di tutto rispetto.
Nel 1580 fu il duca Muzio Mattei a chiedere ai governanti del tempo che la fontana – inizialmente ideata per abbellire Piazza Giudia – venisse costruita dinnanzi al suo palazzo. In cambio, si impegnò a pavimentare la piazza ed a tenere pulita la fontana.
L’opera fu disegnata dall’architetto e scultore Giacomo della Porta nel 1581 e sfrutta l’acqua dell’acquedotto dell’Acqua Vergine.
Un amore contrastatissimo
Si racconta che il duca volesse sposare una bella e ricca fanciulla, ma che il padre di lei non acconsentisse al matrimonio perché, a suo dire, era un nobile ‘squattrinato’.
Non appena lo venne a sapere il giovane nobile invitò l’agognato suocero a cena e, nell’arco di una notte, fece realizzare una magnifica fontana.
Intrattenuto fino all’alba, l’ospite fu invitato ad affacciarsi alla finestra – dalla quale era possibile veder bene la Fontana delle Tartarughe – e si sentì dire “Ecco cosa è capace di realizzare in poche ore lo ‘squattrinato’ Mattei”.
Seguirono naturalmente le scuse e il sì alle nozze. Ma affinché più nessuno potesse affacciarvisi e beneficiare di quella vista, il Mattei ordinò di murare la finestra.
E così la finestra rimase chiusa da allora.
Una fontana ‘abusata’
Una storia romantica, sebbene si tratti solo di una leggenda. Certo è che il nome della fontana deriva dalla presenza di quattro esemplari di tartaruga che altrettanti giovani efebi – ben modellati e posizionati su ciascun lato della struttura – spingono verso la vasca più in alto per bere l’acqua fresca che esce da uno zampillo centrale.
Gli efebi in bronzo, a cavallo dei delfini, sono stati realizzati dallo scultore fiorentino Taddeo Landini. Nel 1658 Gian Lorenzo Bernini vi aggiunse le quattro tartarughe, dando così il tocco finale a questo capolavoro del tardo Rinascimento.
Per evitare pericoli di danneggiamento durante il periodo bellico, la fontana venne privata delle preziose sculture. Quando si trattò di ricostruirla ci si accorse però che mancavano proprio le quattro tartarughe: vennero per miracolo ritrovate nel negozio di un ‘robivecchi’.
Oggi, le quattro piccole testuggini – più volte oggetto di furto negli anni – sono copie delle originali in bronzo, custodite nei Musei Capitolini.